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Osteopatia-LE FASCE - PAOLETTI.doc
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  1. Le catene lesionali

Rappresentano il tragitto che può seguire una tensione di membrana per propagarsi a distanza. Si può descrivere un numero infinito di catene lesionali, ma la pratica e la meccanica umana ci mostrano che la trasmissione della sollecitazioni e delle distorsioni avviene seguendo assi privilegiati che sono rappresentati in modo generale attraverso le catene studiate nel capitolo precedente. Queste catene lesionali sono dunque delle distorsioni, delle catene fasciali che si trovano perturbate nel loro funzionamento fisiologico. Invece di trasmettere e ripartire armoniosamente il movimento, loro si trasformano, in questo caso in punti fissatori, sorgenti di irritazione e di perturbazione della mobilità.

All’origine una catena lesionale può sopravvenire in seguito a una molteplicità di fattori: traumi (distorsioni, caduta su coccige, ma anche traumi diretti su tessuti molli), cicatrici, infezioni, infiammazioni, stress. Questi fattori creano un punto di disfunzione fasciale che, se non rimosso, genera una modificazione della qualità dei tessuti e che, nel tempo, può prolungarsi lungo una catena fasciale per creare, più o meno a lungo termine, una disfunzione talvolta molto a distanza.

Una catena lesionale può iniziare in qualsiasi punto di una catena fasciale, il suo percorso può essere quindi lungo o corto, partire per esempio dai piedi ed arrivare alla cerniera cervico-occipitale o al cranio. Non tutti i traumi generano direttamente la messa in moto di una catena lesionale. Talvolta questa apparirà subito dopo il trauma, talvolta settimane o mesi dopo e talvolta infine anche anni dopo. Tutto ciò dipende da numerosi fattori: intensità della forza di partenza, età del soggetto al momento del trauma, possibilità di adattamento-compensazione del soggetto. È evidente che più un soggetto sarà giovane più il suo corpo potrà difendersi dalle aggressioni. Un corpo in buona salute e funzionale farà di tutto per attenuare gli effetti di una lesione cercando di ripartire gli eccessi di energia in diverse direzioni. Con l’aumento dell’età o l’insieme di più traumi il corpo avrà più difficoltà a difendersi; le possibilità di adattamento-compensazione si riducono, la sommazione diventa troppo imponente, il sistema trabocca e le catene lesionali progrediscono con conseguenze nefaste. Ricordiamoci che i tessuti hanno in memoria i traumi subiti e questi, qualunque sia la loro origine, si accumulano e un giorno o l’altro saranno restituiti dal corpo. La sommazione traumatica temporale è lontana dall’essere una regola assoluta, alcuni soggetti sviluppano una disfunzione molto rapidamente, altri dopo anni, altri molto tardi o mai e questo dipende dalla “vitalità” dell’individuo, dal suo “capitale” di partenza per affrontare le sollecitazioni della vita.

Un fattore importante per limitare la diffusione di un trauma consiste nelle zone di ammortizzamento. Queste sono numerose e ripartite in tutto il corpo: tessuti grassi, sistema liquido, concezione architetturale, articolazioni. Via via che un sistema sarà saturo, le sollecitazioni si trasmetteranno al successivo; saranno in seguito frenate dai grandi punti di ammortizzamento che abbiamo visto più indietro; una volta esauriti anche questi, le solecitazioni finalmente raggiungeranno il loro bersaglio provocando molto spesso conseguenze nefaste. È evidente che, se durante il suo percorso, una catena lesionale incontra un punto di debolezza (articolare, tessutale, viscerale) preesistente, questa contribuirà ad accelerare il fenomeno degenerativo a questo livello.

Una catena fasciale lesionata può arrivare o partire da qualsiasi distretto corporeo, seguire un percorso ascendente o discendente, in funzione del distretto di partenza, dei fattori di sollecitazione che essa subisce, dal sistema di compensazione e di adattamento del soggetto. Avremo dunque catene lesionali ascendenti e discendenti.

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