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Francesco Petrarca. Canzoniere (italiano0.doc
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Vedendo tanto lei domesticarsi

con Colui che vivendo in cor sempre ebbe.

Et ben m'acqueto, et me stesso consolo;

ne vorrei rivederla in questo inferno,

anzi voglio morire et viver solo:

che piu bella che mai con l'occhio interno

con li angeli la veggio alzata a volo

a pie' del suo et mio Signore eterno.

346

Li angeli electi et l'anime beate

cittadine del cielo, il primo giorno

che madonna passo, le fur intorno

piene di meraviglia et di pietate.

" Che luce e questa, et qual nova beltate?

" dicean tra lor " perch'abito si adorno

dal mondo errante a quest'alto soggiorno

non sali mai in tutta questa etate ".

Ella, contenta aver cangiato albergo,

si paragona pur coi piu perfecti,

et parte ad or ad or si volge a tergo,

mirando s'io la seguo, et par ch'aspecti:

ond'io voglie et pensier' tutti al ciel ergo

perch'i' l'odo pregar pur ch'i' m'affretti.

347

Donna che lieta col Principio nostro

ti stai, come tua vita alma rechiede,

assisa in alta et gloriosa sede,

et d'altro ornata che di perle o d'ostro,

o de le donne altero et raro mostro,

or nel volto di Lui che tutto vede

Vedi 'l mio amore, et quella pura fede

per ch'io tante versai lagrime e 'nchiostro;

et senti che ver te 'l mio core in terra

tal fu, qual ora e in cielo, et mai non volsi

altro da te che 'l sol de li occhi tuoi:

dunque per amendar la lunga guerra

per cui dal mondo a te sola mi volsi,

prega ch'i' venga tosto a star con voi.

348

Da' piu belli occhi, et dal piu chiaro viso

che mai splendesse, et da piu bei capelli,

che facean l'oro e 'l sol parer men belli,

dal piu dolce parlare et dolce riso,

da le man', da le braccia che conquiso

senza moversi avrian quai piu rebelli

fur d'Amor mai, da' piu bei piedi snelli,

da la persona fatta in paradiso,

prendean vita i miei spirti: or n'a diletto

Il Re celeste, I Suoi alati corrieri;

et io son qui rimaso ignudo et cieco.

Sol un conforto a le mie pene aspetto:

ch'ella, che vede tutt'i miei penseri,

m'impetre grazia, ch'i' possa esser seco.

349

E' mi par d'or in hora udire il messo

che madonna mi mande a se chiamando:

cosi dentro et di for mi vo cangiando,

et sono in non molt'anni si dimesso,

ch'a pena riconosco omai me stesso;

tutto 'l viver usato o messo in bando.

Sarei contento di sapere il quando,

ma pur dovrebbe il tempo esser da presso.

O felice quel di che, del terreno

carcere uscendo, lasci rotta et sparta

questa mia grave et frale et mortal gonna,

et da si folte tenebre mi parta,

Volando tanto su nel bel sereno,

ch'i' veggia il mio Signore et la mia donna.

350

Questo nostro caduco et fragil bene,

ch'e vento et ombra, et a nome beltate,

non fu gia mai se non in questa etate

tutto in un corpo, et cio fu per mie pene:

che Natura non vol, ne si convene,

per far ricco un, por li altri in povertate;

or verso in ogni sua largitate

(perdonimi qual e bella, o si tene).

Non fu simil bellezza anticha o nova,

ne sara, credo; ma fu si converta,

ch'a pena se n'accorse il mondo errante.

Tosto disparve: onde 'l cangiar mi giova

la poca vista a me dal cielo offerta

sol per piacer a le sue luci sante.

351

Dolci durezze, et placide repulse,

piene di casto amore et di pietate;

leggiadri sdegni, che le mie infiammate

voglie tempraro ( or me n'accorgo), e 'nsulse;

gentil parlar, in cui chiaro refulse

con somma cortesia somma honestate;

fior di vertu, fontana di beltate,

ch'ogni basso penser del cor m'avulse;

divino sguardo da far l'uom felice,

or fiero in affrenar la mente ardita

a quel che giustamente si disdice,

or presto a confortar mia frale vita:

questo bel variar fu la radice

di mia salute, ch'altramente era ita.

352

Spirto felice che si dolcemente

volgei quelli occhi, piu chiari che 'l sole,

et formavi i sospiri et le parole,

vive ch'anchor mi sonan ne la mente:

gia ti vid'io, d'onesto foco ardente,

mover i pie' fra l'erbe et le viole,

non come donna, ma com'angel sole,

di quella ch'or m'e piu che mai presente;

la qual tu poi, tornando al tuo fattore,

lasciasti in terra, et quel soave velo

che per alto destin ti venne in sorte.

Nel tuo partir, parti nel mondo Amore

et Cortesia, e 'l sol cadde del cielo,

et dolce incomincio farsi la morte.

353

Vago augelletto che cantando vai,

over piangendo, il tuo tempo passato,

vedendoti la notte e 'l verno a lato

e 'l di dopo le spalle e i mesi gai,

se, come i tuoi gravosi affanni sai,

cosi sapessi il mio simile stato,

verresti in grembo a questo sconsolato

a partir seco i dolorosi guai.

I' non so se le parti sarian pari,

che quella cui tu piangi e forse in vita,

di ch'a me Morte e 'l ciel son tanto avari;

ma la stagione et l'ora men gradita,

col membrar de' dolci anni et de li amari,

a parlar teco con pieta m'invita.

356

Deh porgi mano a l'affannato ingegno,

Amor, et a lo stile stancho et frale,

per dir di quella ch'e fatta immortale,

et cittadina del celeste regno;

dammi, signor, che 'l mio dir giunga al segno

de le sue lode, ove per se non sale,

se vertu, se belta non ebbe eguale

il mondo, che d'aver lei non fu degno.

Responde: " Quanto 'l ciel et io possiamo,

e i buon' consigli, e 'l conversar honesto,

tutto fu in lei, di che noi Morte a privi.

Forma par non fu mai dal di ch'Adamo

aperse li occhi in prima; et basti or questo:

piangendo i' 'l dico, et tu piangendo scrivi. "

355

O tempo, o ciel volubil, che fuggendo

inganni i ciechi et miseri mortali,

o di veloci piu che vento et strali,

ora ab experto vostre frodi intendo:

ma scuso voi, et me stesso riprendo,

che Natura a volar v'aperse l'ali,

a me diede occhi, et io pur ne' miei mali

li tenni, onde vergogna et dolor prendo.

Et sarebbe ora, et e passata omai,

di rivoltarli, in piu secura parte,

et poner fine a li 'nfiniti guai;

ne dal tuo giogo, Amor, l'alma si parte,

ma dal suo mal; con che studio tu 'l sai;

non a caso e vertute, anzi e bell'arte.

356

L'aura mia sacra al mio stanco riposo

spira si spesso, ch'i' prendo ardimento

di dirle il mal ch'i'o sentito et sento,

che, vivendo ella, non sarei stat'oso.

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