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Francesco Petrarca. Canzoniere (italiano0.doc
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Venisse 'l fin de' miei ben' non integri.

Li occhi belli, or in ciel chiari et felici

del lume onde salute et vita piove,

lasciando i miei qui miseri et mendici,

dicean lor con faville honeste et nove:

" Rimanetevi in pace, o cari amici.

Qui mai piu no, ma rivedrenne altrove. "

329

O giorno, o hora, o ultimo momento,

o stelle congiurate a 'mpoverirme!

O fido sguardo, or che volei tu dirme,

partend'io per non esser mai contento?

Or conosco i miei danni, or mi risento:

ch'i' credeva (ahi, credenze vane e 'nfirme)

perder parte, non tutto, al dipartirme;

quante speranze se ne porta il vento!

Che gia 'l contrario era ordinato in cielo,

spegner l'almo mio lume ond'io vivea,

et scritto era in sua dolce amara vista;

ma 'nnanzi agli occhi m'era post'un velo

che mi fea non veder quel ch'i' vedea,

per far mia vita subito piu trista.

330

Quel vago, dolce, caro, honesto sguardo

dir parea: " To' di me quel che tu poi,

che mai piu qui non mi vedrai da poi

ch'avrai quinci il pe' mosso, a mover tardo. "

Intellecto veloce piu che pardo,

pigro in antivedere i dolor' tuoi,

come non vedestu nelli occhi suoi

quel che ved'ora, ond'io mi struggo et ardo?

Taciti sfavillando oltra lor modo,

dicean: " O lumi amici che gran tempo

con tal dolcezza feste di noi specchi,

il ciel n'aspetta: a voi parra per tempo;

ma chi ne strinse qui, dissolve il nodo,

e 'l vostro per farv'ira, vuol che 'nvecchi. "

331

Solea da la fontana di mia vita

allontanarme, et cercar terre et mari,

non mio voler, ma mia stella seguendo;

et sempre andai, tal Amor diemmi aita,

in quelli esilii quanto e' vide amari,

di memoria et di speme il cor pascendo.

Or lasso, alzo la mano, et l'arme rendo

a l'empia et violenta mia fortuna,

che privo m'a di si dolce speranza.

Sol memoria m'avanza,

et pasco 'l gran desir sol di quest'una:

onde l'alma vien men frale et digiuna.

Come a corrier tra via, se 'l cibo manca,

conven per forza rallentare il corso,

scemando la vertu che 'l fea gir presto,

cosi, mancando a la mia vita stanca

quel caro nutrimento in che di morso

die' chi 'l mondo fa nudo e 'l mio cor mesto,

il dolce acerbo, e 'l bel piacer molesto

mi si fa d'ora in hora, onde 'l camino

si breve non fornir spero et pavento.

Nebbia o polvere al vento,

fuggo per piuu non esser pellegrino:

et cosi vada, s'e pur mio destino.

Mai questa mortal vita a ma non piacque

(sassel' Amor con cui spesso ne parlo)

se non per lei che fu 'l suo lume, e 'l mio:

poi che 'n terra morendo, al ciel rinacque

quello spirto ond'io vissi, a seguitarlo

(licito fusse) e 'l mi' sommo desio.

Ma da dolermi o ben sempre, perch'io

fui mal accorto a provveder mio stato,

ch'Amor mostrommi sotto quel bel ciglio

per darmi altro consiglio:

che tal mori gia tristo et sconsolato,

cui poco inanzi era 'l morir beato.

Nelli occhi ov'habitar solea 'l mio core

fin che mia dura sorte invidia n'ebbe,

che di si ricco albergo il pose in bando,

di sua man propria avea descritto Amore

con lettre di pieta quel ch'averrebbe

tosto del mio si lungo ir desiando.

Bello et dolce morire era allor quando,

morend'io, non moria mia vita inseme,

anzi vivea di me l'optima parte:

or mie speranza sparte

a Morte, et poca terra il mio ben preme;

et vivo; et mai nol penso ch'i' non treme.

Se stato fusse il mio poco intellecto

meco al bisogno, et non altra vaghezza

l'avesse disviando altrove volto,

ne la fronte a madonna avrei ben lecto:

" Alfin se' giunto d'ogni tua dolcezza

et al principio del tuo amaro molto. "

Questo intendendo, dolcemente sciolto

in sua presentia del mortal mio velo

et di questa noiosa et grave carne,

potea inanzi lei andarne,

a veder preparar sua sedia in cielo:

or l'andro dietro, omai, con altro pelo.

Canzon, s'uom trovi in suo amor viver queto,

di': " Muor' mentre se' lieto,

che morte al tempo e non duol, ma refugio;

et chi ben po morir, non cerchi indugio. "

332

Mia benigna fortuna e 'l viver lieto,

i chiari giorni et le tranquille notti

e i soavi sospiri e 'l dolce stile

che solea resonare in versi e 'n rime,

volti subitamente in doglia e 'n pianto,

odiar vita mi fanno, et bramar morte.

Crudel, acerba, inexorabil Morte,

cagion mi dai di mai non esser lieto,

ma di menar tutta mia vita in pianto,

e i giorni oscuri et le dogliose notti.

I mei gravi sospir' non vanno in rime,

e 'l mio duro martir vince ogni stile.

Ove e condutto il mio amoroso stile?

A parlar d'ira, a ragionar di morte.

U' sono i versi, u' son giunte le rime,

che gentil cor udia pensoso et lieto;

ove 'l favoleggiar d'amor le notti?

Or non parl'io, ne penso, altro che pianto.

Gia mi fu col desir si dolce il pianto,

che condia di dolcezza ogni agro stile,

et vegghiar mi facea tutte le notti:

or m'e 'l pianger amaro piu che morte,

non sperando mai 'l guardo honesto et lieto,

alto sogetto a le mie basse rime.

Chiaro segno Amor pose a le mie rime

dentro a' belli occhi, et or l'a posto in pianto,

con dolor rimembrando il tempo lieto:

ond'io vo col penser cangiando stile,

et ripregando te, pallida Morte,

che mi sottragghi a si penose notti.

Fuggito e 'l sonno a le mie crude notti,

e 'l suono usato a le mie roche rime,

che non sanno trattar altro che morte,

cosi e 'l mio cantar converso in pianto.

Non a 'l regno d'Amor si vario stile,

ch'e tanto or tristo quanto mai fu lieto.

Nesun visse gia mai piu di me lieto,

nesun vive piu tristo et giorni et notti;

et doppiando 'l dolor, doppia lo stile

che trae del cor si lagrimose rime.

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